Fuoco di bivacco

Parecchi anni fa avevo immaginato di scrivere dei racconti di genere fantasy generati da una situazione iniziale comune. Nella notte, in un bosco, accanto ad un fuoco sta una figura ammantata. Ai viaggiatori che capitano lì è concesso sedere e ristorarsi solo se in cambio raccontano la loro storia. 
Ho scritto due racconti e poi non ho continuato. Non so perché.
Ne ripropongo uno qui. Chissà che non mi torni l'ispirazione.

foto di scym da Pixabay

Nimeth

Il mio nome è Nimeth, del Popolo Viaggiante.
Se conosci i colori della mia gente sai che sono una Ker-alha, vale a dire “colei-che-ascolta”. Un’apprendista cui non è ancora consentito tessere storie.
La volpe sospettosa che vedi è Bainak, il mio Compagno di Viaggio. È molto protettivo nei miei confronti, perdonalo. Un legame speciale unisce ognuno di noi Viaggianti al suo Compagno. Un legame per la vita, come forse sai. Ora lascerò che provveda a nutrirsi.
Vai fratello, non c’è pericolo per noi qui. Che la caccia ti sia propizia.
Di me non c’è molto da dire, ma poiché lo chiedi con cortesia, ti dirò quello che posso. È troppo buio qui intorno e parlarti di me è un piccolo prezzo per un po’ di compagnia e del cibo caldo.
La mia vita non è diversa da quella di molti del mio popolo.
Siamo Viaggiatori.
Prima di poter vestire il verde dei Tessitori di Storie, trascorriamo dieci anni in qualità di Raccoglitori, indossando prima il giallo e poi il rosso.
A volte mi chiedo se non si verifichino più guarigioni così…la gente in fondo vuole solo questo, essere ascoltata. Depongono davanti a me la loro storia insieme a un pane o un cesto di frutta e se ne vanno pacificati. Forse non sempre, ma abbastanza spesso da farmi pensare che molti dei mali degli uomini si sciolgono se affidati alle parole. Non che sia facile, comunque.
Qualche volta ci sono lacrime ad indugiare agli angoli degli occhi.
Altre volte è la rabbia a scuotere i lembi della mia tenda.
Spesso è ansia premuta forte sulla bocca che infine sguscia via verso le cime degli alberi che non sanno che farsene.
Il nostro è un lungo apprendistato che richiede pazienza, controllo e un cuore saldo. Anche dopo i dieci anni prescritti non è detto che gli Anziani ti ritengano pronto. Quando accade, l’apprendista deve ricominciare da capo.
Se però sei idoneo, vieni iniziato dal consiglio e ti vengono affidate le Parole di Guarigione. È un rito di cui non mi è permesso parlare e comunque io stessa conosco solo leggende al riguardo. Gli anziani dicono che la conoscenza prematura potrebbe spaventarci e farci recedere dal compito e sono certa che hanno ragione.
Anche delle storie che raccolgo non posso parlare.
Ti dirò dove le troviamo. Ovunque.
Nel vento, nell’acqua, nel fitto degli alberi o nel deserto più arido.
Nei vicoli maleodoranti delle città o nel calore di un piccolo accampamento come questo.
Ci sono storie di luce e storie di oscurità.
Storie di vento e di fiamma.
Storie sfuggenti come serpi.
Storie conficcate nelle profondità della terra o impigliate nei fili dove i panni sono stesi ad asciugare.
Storie intrappolate in camini fuligginosi che smaniano per uscire, oppure vaganti senza una meta per la campagna.
Ci sono storie narrate solo con gli occhi o ferme agli angoli della bocca.
Storie bestemmiate e feroci.
Storie fatte di pura malinconia e storie più dolci dei frutti del jaar che danno conforto ai cuori stanchi.
Storie. Ognuna con il suo dono.
Come dici? Ah devo essermi toccata la fronte mentre parlavo e il taglio ha ripreso a sanguinare. Non è niente di grave. La paura fa fare strane cose alla gente…
Chi si trova nella morsa di un dolore forte spesso non capisce. Forse non vuole capire. Gliel’ho detto che non potevo tessere una storia di guarigione.
Come se potessimo guarire tutti, poi… Non siamo stregoni o incantatori.
Quella donna era troppo in là nella Luce (o nell’Oscurità, se è così che la vedi) e solo il più abile tra noi avrebbero potuto riportarla indietro.  Forse neanche.
Ho sbagliato.
Mi sono lasciata toccare dalla pena di quel giovane e ho ceduto alle sue suppliche. Ho fatto cantare il mio tamburo sacro.
Ho pronunciato, senza avere alcun diritto, tutte le parole di potere che conoscevo. Le ho gridate al fuoco, all’aria, all’acqua e alla terra.
Io, che sono indegna e incapace.
La donna è sprofondata nella morte dove era diretta e loro non hanno capito.
Non mi hanno ucciso perché temono l’ira del Popolo Viaggiante, ma con sguardi minacciosi e agitar di bastoni mi hanno accompagnato alla porta del villaggio.
Ci sono state grida e qualcuno ha tirato sassi.
Qualcuno che aveva buona mira…già.
Ho imboccato la foresta e ho camminato per un tempo che mi è parso interminabile, finché non ho visto il tuo fuoco.
Bainak non ha mai lasciato il mio fianco.
Ora sono esausta, perciò ti prego, venerabile, lascia che io mi stenda qui.
So che difficilmente il sonno verrà, ma voglio che i miei occhi si riempiano di queste belle stelle.

 


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