Resilienza vegetale

Dove lavoro ci sono due spazi esterni. C’è il cortile di accesso vero e proprio, pavimentato con tristi autobloccanti, che ospita un praticello piccino picciò abitato da alcune piante rassegnate al lancio di mozziconi. Lì, proprio davanti all'officina, staziona, quale elemento decorativo, un tornio arrugginito, per accogliere il quale è stato inspiegabilmente  sradicato un cespuglio di rose.
Esiste un secondo spazio, un poco più arioso, con un prato grande, diviso in due da quello che, esagerando, definirò viale. A sinistra si trova un baretto, un disordinato cespuglio di lavanda in compagnia di alcune piante aromatiche, e un pratone dove i ragazzi giocano a pallavolo. A destra della stradina/viale una gigantesca e spettacolare magnolia che prospera nonostante i rifiuti lasciati ogni giorno e pazientemente raccolti di tanto in tanto.
Abbiamo infine due garage che ospitano materiale vario, mentre altre attrezzature si riempiono di polvere sotto ad una tettoia insieme a vasi di fiori pieni di terra rinsecchita, rimasugli dell'ultimo corso di giardinaggio. 

E' lì' che l'ho ritrovata. Piena di ragnatele, la terra dove affondava le radici, più arida del deserto di Atacama, eppure viva.

Una volta quel tronchetto della felicità era all'interno, insieme ad altre tre piante, ugualmente trascurate dai più. Ci alternavamo in due a vedere che fossero bagnate regolarmente e private delle foglie secche.
Ogni estate, nel periodo di chiusura, venivano spostate all'esterno, a cavarsela da sole. A settembre si riportavano dentro. L'anno scorso, principalmente a causa di lavori all'interno, non è stato così. Un collega se ne occupava, ma poi ha trovato un'altra occupazione e ci ha lasciati. Poi è sopraggiunta l'epidemia e il lockdown.

Al ritorno a scuola il lavoro mi è saltato addosso e  non solo quello.
Alla fine degli esami, sono andata a cercare le piante. Ho trovato ciò che restava di due di loro nell'ammasso di vasi e terra secca. Morte ingloriosamente.

Lei però, la dracena fragrans, alias tronchetto della felicità era, come ho anticipato, viva ma non certo in salute. L'ho bagnata. Sono tornata a trovarla ogni giorno, cercando nel frattempo di trovarle degna sistemazione.  Se non trovavo nessuno che la volesse l'avrei presa io, ma per me era complicato ospitare un'altra pianta. Infine una collega ha accettato di adottarla.

Stamattina l'ho aiutata a sistemarla in macchina. E' lunga, il fusto e' contorto e dovrà essere potata. Sono piante straordinariamente resistenti questi tronchetti ed estremamente prolifiche. In quel tempo così arido e solitario è riuscita non solo a sopravvivere, ma anche a dar vita ad un nuovo germoglio. Pianti anche solo un pezzo del tronco e questo metterà radici e foglie.
La vita si moltiplicherà, che lo si voglia o no.

Mentre la appoggiavamo sul sedile del passeggero, la mia collega, nonché cara amica, che sostiene di non saperci fare con le piante e ne sa anche meno di me di fiori e cespugli, ma è dotata di empatia a 360 gradi, le parlava con dolcezza.
Lì anche un sasso avrebbe capito che era in buone mani. Perché anche se per tanto tempo hai dovuto fare a meno dell'amore, quando ti parla, lo riconosci, non ci sono santi. Anche se sei una pianta. O forse soprattutto, chissà.




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