Metro'

È scandaloso. Dieci minuti che sei qui e ancora non si è visto un taxi libero. Per colmo di sfortuna sei carica di pacchi ed è tardi. Spaventosamente tardi. A malincuore decidi per il metro', sperando che non sia maledettamente affollato.
Eccoti dunque su un sedile scomodo, stretta a destra da una signora grassa e a sinistra da una ragazzetta scipita dai capelli spettinati. Davanti a te un muro umano appeso alle maniglie.
Ti barrichi dietro borsa e sacchetti: Che crepino di invidia leggendo i nomi dei più eleganti negozi del centro. Che capiscano bene che non hai niente a che vedere con questa folla che fa la spesa, va al lavoro o ci torna (chi lo sa), circola in vestiti da quattro soldi.
Controlli l’ora sul tuo Cartier e con la mano discretamente ingioiellata sistemi la gonna del tailleur sportivo firmato Chanel (non c’è che Chanel per i tailleurs). Tuo marito è ancora in viaggio e tu hai in programma una cena con Giulia in quel nuovo ristorante sui Navigli.
La tua grassa vicina si alza: vorresti accomodarti meglio, ma un giovinastro foruncoloso si catapulta sul sedile rimasto libero. Appoggi prudentemente una mano sulla chiusura della borsa. Non si sa mai.
Continui il viaggio osservando questa umanità dolente che ti circonda. Ti senti confortata al pensiero di non appartenervi e per saperlo ti basta la sensazione che ti dà la stoffa pregiata del tuo vestito, la linea esclusiva delle scarpe, la L e la V che si ripetono sulla borsa.
Non manca molto alla tua fermata. Ti sposti faticosamente verso l’uscita, maledicendo il momento in cui ti sei infilata in quest’inferno. D’un tratto il tuo sguardo si ferma per caso su un viso che ti sembra di riconoscere.
Non è possibile che sia Elena.
Ti sporgi per vedere meglio oltre le teste e i corpi che ti separano da quella donna all’estremità opposta della carrozza. Non c’è dubbio, è proprio lei. Non sembra molto cambiata dai tempi della scuola. Porta ancora i capelli lunghi. Incredibile. Stesso stile: jeans e maglione.
Sta proprio davanti alla porta e l’espressione mite che le ricordi sembra increspata da una nota di impazienza.
Saranno vent’anni che non la vedi e sei improvvisamente curiosa di sapere che cosa ha fatto della sua vita quella ragazzina silenziosa che non veniva mai invitata alle feste. Ancora di più, sei ansiosa di mostrarle cosa hai fatto tu della tua.
Il metrò si arresta. Si aprono le porte e un po’ di gente si riversa fuori, lei compresa. Non è la tua fermata, ma ormai hai deciso di parlarle e tu sei abituata ad ottenere quello che vuoi. Dopotutto, sei certa che le farà piacere. Però se non ti sbrighi la perderai di vista. Di chiamarla non se ne parla. Non sei il tipo che si può mettere a gridare in un luogo pubblico.
Elena è già in cima alle scale e tu ancora in fondo. Un piccolo sforzo e riuscirai a raggiungerla.
Che disdetta! Adesso c’è un uomo vicino a lei. La sta abbracciando teneramente. Questo ovviamente cambia le cose. Non hai nessuna voglia di stupide presentazioni. Però vorresti riuscire a vederlo quest’uomo. Vedere su chi è riuscita a mettere le mani la piccola Elena.
Ti tieni ancora un poco in disparte a metà della scala, fingendo di cercare qualcosa nella borsa. Finalmente l’uomo solleva la testa che teneva affondata nei suoi capelli. Tu lo spii di sottecchi e improvvisamente ti rendi conto che non c’è proprio niente e nessuno, nemmeno Chanel, Dior o Louis Vuitton, che ti salverà dal sorriso innamorato con cui tuo marito sta accarezzando la tua insignificante compagna di scuola.
Se ne vanno subito, mescolandosi tra la folla e tu resti lì con le mani strette attorno ai sacchetti.
Solo più tardi scendi lentamente le scale.

Foto di Engin Akyurt da Pixabay


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